Franciscus. Il Papa tra progressismo e conservatorismo

Franciscus. Il Papa tra progressismo e conservatorismo

di Salvo Germano

Dal 13 marzo 2013, Jorge Mario Bergoglio è il 266° pontefice della Chiesa cattolica, vescovo di Roma, sovrano dello Stato della Città del Vaticano, Primate d’Italia, oltre ai titoli che competono al Sommo Pontefice.

Dopo 9 anni di pontificato, le condizioni di salute del Papa si sono aggravate.

 I numerosi ricoveri all’ospedale Agostino Gemelli di Roma, le ultime apparizioni pubbliche del Pontefice, in cui è apparso affaticato e sempre più stracco in occasione dei lunghi riti pasquali, hanno indotto l’opinione pubblica, e non solo, a pensare ad una imminente dimissione, che puntualmente è stata smentita dallo stesso Francesco.

Quando gli è stato chiesto: come sta Santità?

“Sono ancora vivo” ha risposto prontamente.

All’interno della Curia romana, serpeggia quello che il Papa ha definito il ”chiacchiericcio, che è una peste ma aiuta a migliorare, ed è una offesa a Dio.”

Francesco col chiacchiericcio alludeva al facile pettegolezzo, alle insinuazioni, alle indiscrezioni malevoli, tese a screditarlo, fuori e dentro le mura leonine.

  Il clima di tensione nell’establishment della curia è tangibile: il dissenso, la scarsa empatia col Papa, quella  che i tedeschi chiamano Einfuhlung, l’affinità elettiva col Santo Padre che non esime disagio, nel porre in essere, improvvise rimozioni, cadute di teste nei posti più apicali.

Questo è fatto noto per chi segue i fatti vaticani.

Pare che il gesuita sia fermo e risoluto nelle sue scelte irrevocabili nel muovere e rimuovere le pedine dello scacchiere, a suo piacimento. Dietro la sua espressione paciosa si nasconde il ghigno beffardo di chi sa chi è il vero timoniere al comando. Parlando una volta con un prete argentino, in vacanza a Roma, mi aveva, in modo sommesso, confessato, davanti ad un bicchiere di buon Chianti, questa Sua vocazione al rancore verso chi non si allinea al suo pensiero e a chi lo disattende, con la contraddizione. Questo è un dato positivo se si considera l’umano sentire del Romano Pontefice, che come tutti gli altri uomini, è partecipe delle umane miserie, insite nell’animo umano, anche di quelli che aspirano alla santità.

Il prete mi parlava, in tono confidenziale, anche dell’alone di mistero che circonda le relazioni tra Bergoglio e la giunta del generale Videla negli anni settanta, durante la dittatura.

  A parte questo inciso, ritorno al discorso delle rimozioni più o meno annunciate.

Così è successo ad es. al cardinale vicario di Roma, Angelo De Donatis, rimosso da Francesco per la scarsa empatia. Dal 6 aprile 2024, la sede vicariale è vacante, in attesa di una nuova nomina papale.

Il segretario particolare di Benedetto XVI, mons. Georg Gänswein, già Prefetto della Casa pontificia, successivamente alla morte di Ratzinger, è stato spedito a Friburgo, dopo 30 anni di onorato servizio, presso la Santa Sede, con una nota di comunicazione di appena due righe. Ammenonchè sia attendibile la notizia di Elisabetta Piquè, che sul quotidiano La Naciòn, ha firmato un articolo in cui si dà la notizia che a mons. Gänswein sarà dato presto l’incarico di “ambasciatore in qualche parte del mondo”. In tal caso è un gesto da considerarsi misericordioso da parte del Santo Padre, che chiude definitivamente una imbarazzante polemica di non poco risalto mediatico.

    Del resto, nel piccolo Stato del Vaticano vige la regola del detto latino: promoveatur ut amoveatur. Se la fonte è attendibile, auspichiamo che mons. Gänswein, accolga con spirito di obbedienza al Papa, il nuovo incarico di Nunzio, in qualsiasi parte del mondo, il futuro diplomatico, abbia a svolgere il suo servizio per la Santa Sede.  

 Negli anni addietro pochi giornali e la stampa mainstream in generale, riportarono la notizia, che cadde come un macigno sulla testa di Francesco: riguarda la legittimità della sua elezione al soglio pontificio.

Il problema è stato sollevato da alcuni studiosi di diritto canonico, da teologi, alcuni dei quali “sospesi a divinis”, da esperti vaticanisti, che hanno colto un “vizio substantiale” del Codex iuris canonici 332.2.

 Il Papa emerito con la Declaratio del 13 febbraio, davanti ai Porporati in Vaticano, non avrebbe rinunciato al ”munus petrino,” che è l’investitura divina, ma solo al ”ministerium” che è il potere pratico da esso derivante.

In pratica la differenza che passa tra l’essere Papa e fare il Papa.

 Una seconda motivazione, ancora più grave, di cui non si parla tanto, è “la mafia di San Gallo” in seno alla quale sia maturata l’elezione di Bergoglio.

  Mi spiego: la Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis, di Giovanni Paolo II stabilisce che i Cardinali elettori non possono riunirsi ed indicare il futuro Pontefice al di fuori del conclave, pena, ipso facto, l’annullamento della votazione.

 Cos’è la “Mafia di San gallo?”

 È il tentativo di alcuni porporati, riunitisi in Svizzera, nell’omonima cittadina, per sovvertire la dottrina morale della Chiesa. Un gruppo segreto riformista, pronto a privilegiare l’elezione del primate argentino, operazione messa in atto, appunto da questi porporati.

 Questa accolita, faceva riferimento al card. Daneels, primate del Belgio: sarebbe stato lui l’artefice per far eleggere, appunto, Bergoglio.

  Alcune ricostruzioni giornalistiche hanno parlato di un complotto tra cardinali per arrivare all’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio.

  A questo gruppo di porporati facevano parte gli eminentissimi cardinali Martini, Kasper, Murphy, O’Connor e Lehmann.

  Lasciamo ai canonisti e agli studiosi vaticanisti la ricostruzione storica della magna quaestio, della quale non mi sento di esprimermi, né di entrare nel merito. Non ho mai avuto in mano nessun documento e pertanto mi limito a riportarlo a livello di cronaca.

Voglio restare deliberatamente fuori da certe posizioni ideologiche, così radicalmente opposte, all’interno della Chiesa che la dilaniano dall’interno.

La rinuncia di Benedetto XVI segna una pagina di storia ancora irrisolta, i cui misteri giacciono nelle coscienze individuali dei due Pontefici, che solo a Dio potranno rispondere. Posizioni che si contrappongono e che oggi non riescono a trovare un punto di coesione, tra i filo bergogliani e gli anti, fuori e dentro la Chiesa.

Di alcuni di essi si conoscono bene i nomi: il prof. Roberto de Mattei, il vaticanista Aldo Maria Valli, Antonio Socci, tanto per citarne alcuni. Di quest’ultimo molto scalpore ha suscitato la pubblicazione del suo libro: “Non è Francesco. La Chiesa nella tempesta”. Oscar Mondadori.

E tra i prelati, il più caustico a lanciare strali al vetriolo è Carlo Maria Viganò, già nunzio apostolico negli Stati Uniti. Viganò ha accusato Francesco di aver coperto troppo a lungo, prima di essere rimosso, gli abusi sessuali del cardinale americano McCarrick.

 Aldo Maria Valli, già vaticanista del Tg 3, cura il blog “Duc in altum,” nel quale stigmatizza gli insegnamenti di Francesco e pone l’accento e uno spunto di riflessione sulla profonda crisi della Chiesa cattolica. Personaggio molto legato agli ambienti del tradizionalismo cattolico. Personaggi vicini allo stretto conservatorismo del vescovo Marcel Lefebvre, che osteggiò il Concilio vaticano II, per il quale arrivò la scomunica, latae sententiae da Papa Wojtyla, poi revocata dal più conservatore Papa Ratzinger, insieme ai quattro neo vescovi nominati da Lefebvre senza l’approvazione della Santa Sede, e quindi dal Papa.

Insomma, un Bergoglio Santo per alcuni, un Bergoglio eretico antipapa per altri, usurpatore della sede petrina.

Nessun Papa di fine secolo, e parte del nostro, ha vissuto problematicità così laceranti, all’interno della Chiesa.

Siamo di fronte all’antinomìa del mentitore in cui una verità può essere indimostrabile, in quanto vera per alcuni, falsa per altri.

Bergoglio sarebbe davvero un anti Papa, (come Felice V, 1439) e Ratzinger un Papa in “sede impedita” che come Papa emerito, continuava a vestire di bianco, viveva in Vaticano e si firmava Benedictus P.P. XVI

Se è vero, che morto un Papa, se ne fa un altro, le cordate reazionarie della Chiesa Cattolica, dovranno fare ancora i conti con l’inossidabile  tenacia di questo Pontefice claudicante e in carrozzina, che nonostante gli acciacchi dell’età, non vuole consegnare le armi, conferitegli dal Suo magistero, che con la forza del baculo pastorale, riesce a travolgere masse oceaniche. L’arma per estirpare la piaga cancerogena della pedofilia intra moenia ed extra moenia al Vaticano.

Vuol porre fine agli scandali e agli investimenti finanziari, in odore di corruttela, che hanno coinvolto diversi alti prelati, come il card. Becciu ed alcuni suoi collaboratori, tuttora inquisiti dalla Segnatura Apostolica.

Si sarà stancato ancora di osteggiare la lobby gay all’interno del Vaticano e la loro forte corporazione, votata a scambi di favori e di reciproca protezione?

Vuol rendere più trasparente i passaggi di denaro sospetti, in odore di riciclaggio entro la banca dell’IOR e sottoporli alla giurisdizione italiana ed internazionale, qualora necessario, senza porre veti.

L’abdicazione di Ratzinger del 28 febbraio 2013, ha riunito i Cardinali nella Cappella Sistina per eleggere il Papa più green della storia, sensibile al tema ecologico, ai reiterati richiami per arrestare con tutti i mezzi i cambiamenti climatici, legati alla salvaguardia del pianeta, ispirandosi al Cantico delle Creature di San Francesco di Assisi, su cui incentra la seconda enciclica “Laudato sì.”

 Un Pontefice che poco parla dello Spirito Santo, che ha trasformato la Chiesa in una sorta di multinazionale con scopi altamente filantropici ed umanitari, una sorta di ONG che fa da Caronte agli immigrati dai paesi poveri e in guerra verso i paesi più ricchi. Una sorta di antropologia umanitaria globalista, vicina agli insegnamenti di Gesù e al contempo svuotata, secondo alcuni, dei valori fondanti del cattolicesimo romano: non si può amare il prossimo se prima non si ama il Cristo, che a Pietro ha dato il compito del “depositum fidei” nel corpo mistico della Chiesa. A Francesco pare più importante amare il prossimo che Dio.

Egli ha molto a cuore l’interconnessione tra crisi ambientale della Terra e crisi sociale dell’umanità: la cosiddetta ecologia integrale. Questo integralismo pachamamico panteico legato alla Terra, sembrerebbe asservito ad istanze più di ordine umanitario ed antropologico, che spirituale.

Francesco ha sdoganato il concetto di peccato, ormai sciolto dai precetti del catechismo di San Pio X, su cui parte della mia generazione è cresciuta, all’ombra del campanile di appartenenza.

Usando parole semplici, se fai del bene e non ami la Trinità hai un posto sicuro in paradiso. Assistiamo ad una sorta di evaporazione del cristianesimo, auspicato dalla civiltà del relativismo e del nulla della tecnologia scristianizzante.

Un Papa che dell’ecumenismo ha fatto la sua cifra pastorale, oltre che spirituale.

Una parte del mondo cattolico tradizionalista, auspicherebbe un Papa meno prono all’islam, meno mondialista e meno asservito ai summit di Davos, dove si decidono le sorti del pianeta, gli equilibri economico politici e ambientali del pianeta dai poteri forti legati ai vari Soros e ai Bill Gates. Un Papa meno asservito alle case farmaceutiche, che durante la pandemia ha svuotato le chiese con la disapprovazione di alcuni vescovi dissidenti.

Nella storia recente, mai un Papa è stato tanto criticato dall’interno, scontrandosi con le frangie conservatrici di porporati come l’americano Raimond Leo Burke, dichiaratamente pro Trump, il card. Walter Brandmüller e il card. Gerhard Lüdiwig Mueller, già Prefetto del dicastero della dottrina della fede. (I cardinali che hanno posto al Papa i famosi “dubia.”)

Per non parlare di Carlo Maria Viganò, già potente nunzio apostolico negli Stati Uniti. Credo che un tale ristretto numero di porporati conservatori, sembra contare sempre meno nelle logiche curiali. La politica del ”papa venuto dai confini del mondo” sembra delegittimare il centralismo europeo, spostando il cuore propulsivo della Chiesa in sud America, dove i cattolici sono in aumento, mentre l’Africa è il continente a cui il Pontefice punta di più, conferendo il berretto cardinalizio a più Vescovi, rispetto a quanto non abbiano fatto i Papi precedenti.

È il Papa progressista che in una conferenza stampa, in aereo di ritorno a Roma, ad una domanda incalzante del giornalista sui gay, rispose dicendo: “chi sono io per poter giudicare”.

Un Papa che spiazzando tutti ha separato la pedofilia dalla omosessualità, introducendo la “Fiducia supplicans,”che consente alle coppie dello stesso sesso la caritatevole dignità di una benedizione, purché essa avvenga fuori da qualsiasi rito liturgico.

È il Papa della “Dignitas infinita” che in 61 punti tocca i temi più urgenti che deprimono l’umanità. Il documento si incentra sui temi culturali, sociali, politici e tecnologici che tormentano l’umana esistenza.

Francesco ci ricorda il senso fondamentale della dignità della vita che è trina, ontologica, sociale e morale.

Il Papa, in tale documento, indignando una larga comunità arcobaleno, diffida dalla teoria gender che “sia proibita ovunque ed è pericolosissima.”

Il cambio sesso è “una minaccia” della dignità della persona e la maternità surrogata diventi delitto universale.” E ancora il femminicidio è considerato “uno scandalo globale.”

Inoltre condanna l’aborto e il suicidio assistito e introduce il concetto di violenza digitale, nell’era della tecnologia. Anche i disabili devono avere una dignità di persone che con una adeguata assistenza non abbiano ad avere una condizione di disagio sociale.

Questi i punti salientissimi del documento, approvato dal Papa, lo scorso 25 marzo. Un lavoro di 5 anni, un testo uscito dall’ex Sant’Uffizio, dove si affronta anche il tema della guerra, dei poveri come scarto sociale, la violenza perpetrata a danno dei migranti.

Tuttavia Francesco, ribadisce il rispetto e la dignità di ognuno, a prescindere dal proprio orientamento sessuale, pur bandendo di converso, la teoria gender e il deprecabile cambio di sesso, che avvilisce la personalità del soggetto.

Ogni individuo va rispettato e accolto dalla Chiesa. Ma il Papa ha sottolineato, senza se e senza ma, che la teoria gender è la cultura LGBT è “pericolosissima perché cancella le differenze nella pretesa di rendere tutti uguali.”

Quel vento di progresso che sembrava inizialmente avesse spazzato via quello strato di ruggine ormai cristallizatosi nelle stanze e negli arredi damascati del Potere temporale e religioso è ancora lì, più immarcescibile di prima.

Epilogo:

Dico che Franciscus è Tancredi, nipote prediletto di don Fabrizio Salina, che pronunciò la fatidica frase: “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.

Così ha fatto il Gesuita argentino, che indossando ai piedi, semplici scarpe nere e un crocifisso di ferro, sostituendoli a quelle bordeaux di Prada e al crocefisso d’oro del suo predecessore, voleva far credere che il vento stava cambiando, ma esso adesso soffia come la bora triestina, contro i tanti, che avevano sperato che la dignità fosse un valore davvero universale per tutti.

Molti dovranno attendere il prossimo conclave (forse) per confermare che l’amore supera i confini della biologia, della religione, delle convenzioni sociali e di ogni ideologia, poiché dove c’è amore, c’è in nuce, il cuore pulsante della famiglia, qualunque essa sia.

Si direbbe che Benedetto e Franciscus abbiano seminato gli stessi semi d’uva, lo stesso vitigno nella vigna del Signore. Si tratta ora di scoprire quello che fa il vino peggiore: in comune, comunque, il sapore di tappo vecchio, di stantìo e di una annata andata a male.

salvo germano

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