La scrittrice siciliana goliarda sapienza: una fuoriclasse prestata al cinema.
di Salvo Germano
È stato presentato con grande successo al festival di Cannes il film L’arte della Gioia con la regia di Valeria Golino, serie prodotta da Sky studios e da Viola Prestieri per HT Film. Arriverà al cinema in due momenti diversi: il 30 maggio la prima parte e il 13 giugno la seconda. Poi in autunno in sei puntate in TV. La storia è liberamente tratta dal romanzo pubblicato postumo della scrittrice, poetessa, attivista della Resistenza e attrice siciliana Goliarda Sapienza.
Non in molti conoscono questa scrittrice nata a Catania, destinata a diventare una delle figure più rappresentative del panorama letterario del novecento, ma questo avverrà dopo la sua morte. Non è il solo caso letterario, se consideriamo altri grandi scrittori, che si sono presentati quando il mondo non era predisposto a capire la grandezza delle loro opere. Se consideriamo che il medesimo destino toccò a Kafka, Stendhal o la stessa Antonia Pozzi, morta suicida a ventisei anni. Nata cento anni fa, il 10 maggio 1924 nella città etnea, Goliarda cresce in una famiglia numerosa. Il padre, Giuseppe Sapienza, detto avvocato dei poveri è un socialista e impenitente antifascista. Egli aveva avuto tre figli dal primo matrimonio, di cui Goliardo, morto affogato in circostanze misteriose – si disse – la mafia o dai fascisti. La madre Maria Giudice, donna di spicco della sinistra italiana, è la prima donna sindacalista a dirigere la Camera del lavoro di Torino. Costei aveva avuto sette figli dal primo compagno; un legame con Giuseppe Sapienza, al di fuori da tutte le convenzioni sociali del tempo. Una libera convivenza fuori dal matrimonio, segno simbolico, e non solo, di emancipazione culturale, sociale e un radicale anticlericalismo ateo che le fu trasmesso alla figlia, a cui diedero il nome di Goliardia, in memoria del fratellastro morto. La madre socialista convinta, venne arrestata più volte durante le manifestazioni antifasciste del ventennio. Al suo funerale nel 1953 a Roma vi partecipò, oltre a Giuseppe Saragat e Sandro Pertini, una immensa folla.
Goliarda cresce con questa pletora di fratelli e sorelle, in un clima di assoluto anticonformismo e un disinibito senso libertario, in antitesi con il codice comportamentale delle famiglie borghesi del tempo, contaminate dalle restrizioni a cui erano assoggettate le donne. Lei distrugge tutti gli archetipi imposti nella società del fascio. Il padre, non volle mandare Goliada a scuola, temendo che venisse condizionata dalla detestata impostazione pedagogica della scuola fascista.
Trasferitasi con la famiglia a Roma, la ragazza sedicenne studia recitazione alla Accademia nazionale d’arte drammatica, grazie ad una borsa di studio.
Fu interprete e protagonista in importanti ruoli di opere di Pirandello.
Si cimentò anche nel cinema, lavorando con Alessandro Blasetti, un regista che poi divenne uno dei fautori della propaganda cineasta fascista. Nel 1955 interpreta zia Lucia negli Sbandati con la regia di Citto Maselli, suo compagno per diversi anni. In seguito si ridusse a fare anche piccole parti in Senso, di Luchino Visconti, Persiane chiuse di Luigi Comencini, Dialogo di Roma con la regia di Marguerite Duras.
In lei presto prevalse la passione letteraria, anche se non condivisa dagli intellettuali del suo tempo che la misero all’indice isolandola.
Tra i suoi lavori a sfondo autobiografico, maturati durante l’esperienza del carcere di Rebibbia, per un furto di gioielli ad una amica, scrisse i due romanzi: L’università di Rebibbia e Le certezze del dubbio.
Questi furono pubblicati, grazie all’editore siciliano Beppe Costa, che tuttavia non riuscì a farle ristampare, né a fargli ottenere il sussidio della legge Bacchelli, essendosi impoverita tanto da non potersi pagare l’affitto, per dedicarsi interamente a L’arte della Gioia.
Qualche anno prima di morire, per interessamento di Lina Wertmüller, insegnò recitazione al Centro sperimentale di cinematografia.
Il complesso romanzo L’arte della Gioia fu revisionato da Angelo Pellegrino, professore di latino e greco, molto piu giovane di lei, che sposò dopo la lunga storia di diciotto anni con il regista Citto Maselli.
Dal 1967 al 1976 si dedicò instancabilmente a quello che sarà il suo capolavoro letterario, non avendo tuttavia la soddisfazione di vederselo pubblicato integralmente, ma solo la prima parte tra quattro.
Inizialmente L’arte della gioia non fu ritenuto degno di pubblicazione:
Feltrinelli si rifiutò di pubblicarlo e anche altre case editrici le chiusero le porte, ritenendo l’opera immorale e avanguardista.
Fu pubblicato postumo e a proprie spese dal marito, dalla casa editrice Stampa alternativa. Successivamente lo strepitoso succeso arrivò quando il marito propose il romanzo ad una editrice tedesca che poi lo propose in Francia. Solo allora il nome di Goliarda comincia a circolare negli ambienti letterari che contano. Sarebbe il caso di dire: Nemo propheta in patria.(sua)
Dopo il grande successo all’estero, è stato pubblicato in più lingue e in Italia da Enaudi.
È il romanzo femminista – erotico – politico della sua vita. La scrittrice non si sottrae allo svelamento delle verità nascoste nelle caverne dell’animo umano, nei meandri della coscienza, conscia ed incoscia, che affonda le radici nel desiderio della carne, che la stessa regista Golino, ospite ad Otto e mezzo da Lilli Gruber, ha definito la protagonista del romanzo di nome Modesta, “pansessuale.” Nome dichiaratamente antifrastico: tutt’altro dedito alla sottomissione e all’ideologia femminile del sacrificio. Una donna in cui si fondono insieme carnalità e intelletto, il cui fine è il raggiungimento della gioia tout court.
Goliarda non indugia all’uso di un linguaggio con diversi registri sociolinguistici e diafasici: ella passa dall’ io narrante, alla terza persona. Un tessuto narrativo scabroso che deriva da un senso di rivendicazione liberatorio delle pulsioni erotiche più brutali. È un personaggio, che al di là del bene e del male, appare obbedire al credo nietzschiano che smantella criticamente l’inconsistenza della morale del suo tempo, prona al pensiero dominante. Sarà una coincidenza che Nietzsche morirà nel 1900 quando nasce Modesta. È sicuramente un romanzo sovversivo: Modesta ama le donne come gli uomini. È una donna lasciva e socialista. Ma anche machiavellica nei suoi impenitenti propositi incendiari e di eliminazione fisica. Da poverissima bambina, la cui scuola è la strada, apprende la durezza della vita, rinchiusa in un convento, pur compiendo grandi malefatti, nel divenire della sua esistenza, raggiunge una scalata sociale che culmina al raggiungimento del rango aristocratico, attraverso un matrimonio di convenienza.
Ritornando al doloroso profilo biografico di Goliarda, si dice pronta a mettere in discussione ogni princìpio di autorità, fuorché lo stigma della vita stessa, attraverso un doloroso percorso di psicanalisi di circa tre anni con il dottore messinese Ignazio Majore. Dopo aver subito diversi elettroshok per un tentativo suicidario, Goliarda racconta se stessa, le proprie inquetitudini, le proprie contraddizioni nel rapporto tra medico e paziente, sino al processo di guarigione. Tutto questo e altro nel romanzo autobiografico. Filo di mezzogiorno.
La regista Golino afferma di esserle piaciuto raccontare “una donna così poco edificante, un femminile con tutti i difetti che di solito appartengono agli uomini. Modesta li ha tutti. Comunemente i grandi antieroi sono maschi.” Ne L’arte della gioia la protagonista è una grande antieroina.
La Golino racconta con empatia di aver avuto la fortuna di incontrare Goliarda Sapienza quando aveva diciotto anni. Era troppo piccola – sostiene – per capire la caratura della scrittrice, di cui non aveva letto i suoi libri.
La protagonista assoluta è la bravissima Tecla Insolia nei panni di Modesta, figlia della terra di Sicilia, nata a Varese ma di madre solarinese e padre floridiano, comuni del siracusano.
Jasmine Trinca è invece la madre superiora Leonora. Valeria Bruni Tedeschi interpreta la principessa Gaia. Altri attori, Guido Caprino, Alma Noce, Giovanni Bagnasco e Giuseppe Spata. Tutti attori con cui la regista ha dichiarato di avere avuto un rapporto simbiotico.
L’ambientazione, i costumi, la fotografia, il contesto socio culturale del ventesimo secolo, potrebbero ingenerare l’idea di un saga storica: in realtà non trattasi né di un film né di un romanzo storico.
L’arte della gioia rientra semmai nel solco del romanzo gotico, che alle ambientazioni fantastiche o le saghe medievali, scruta negli abissi dell’ io, nelle angosce dell’uomo moderno, anticipando le indagini introspettive della psicanalisi.
La società siciliana fatta di caste all’interno delle quali si respira aria di cambiamento: la nobiltà ancora aggrappata ai propri privilegi si lascia alle spalle il mondo gattopardiano di Tomasi di Lampedusa.
Il film – romanzo sembra voler parlare a quegli uomini che ritengono loro prerogativa il gioco della libertà sessuale, così come l’ha descritta nella fantasiosa autobiografia l’autrice, votata alla emancipazione femminile, declinata in tutte le sue sensoriali sfaccettature.
Tutto ciò evoca quei cambiamenti epocali degli anni della contestazione giovanile e la cultura dei figli dei fiori: non fate la guerra ma fate l’amore.
Cambiamenti che hanno prodotto un forte impulso alla letteratura erotica del ‘900, da Porci con le ali. Diario sessuo – politico di due adolescenti di Lidia Ravera a Il delta di Venere della scrittrice statunitense Anais Nin, un cult della letteratura del secolo scorso. I tabù sessuali della donna sono finalmente sdoganati per sempre. E questo lo dobbiamo anche alla letteratura di Goliarda Sapienza