DUE SCRITTORI ALLO SPECCHIO

DUE SCRITTORI ALLO SPECCHIO

Salvo Germano con postilla di Dino Villatico

Se ne sono andati entrambi a cavallo di un giornata, in una calda settimana di luglio.

Porto Empedocle e Napoli, piangono due grandi scrittori folk della letteratura popolare italiana.

Sperimento in questo editoriale a delineare un breve ritratto, non tanto di critica letteraria ma piuttosto l’aspetto umano e civile dei due scrittori.

Mettendoli sotto una speciale lente di ingrandimento a specchio, vedo apparire riflessa la stessa esplosiva luce che irradia il sud della nostra penisola.

Sud, reso seducente e attraente, grazie alla loro plastica e tangibile rappresentazione del pensiero e del linguaggio meridionale: Camilleri per la Sicilia, De Crescenzo per Napoli.

Entrambi eredi di quel che fu il Regno delle due Sicilie.

Camilleri ha avuto la fortuna di vivere a lungo e lucidamente la propria vecchiaia, incarnando l’Attempato e il Profeta della televisione, e forse, direi quasi ingiustamente, riconosciuto successore della grande tradizione letteraria siciliana. Da Verga a Tomasi, da Pirandello a Vittorini, da Sciascia sino alla contemporanea, Stefania Auci. L’elenco dei Titani sarebbe troppo lungo. Come se ci fosse un ideale fil rouge  tra l’antica Scuola poetica siciliana della corte di Federico II di Svevia del XIII sec. e la fiorente tradizione letteraria ottocentesca e del secolo scorso.

La Sicilia ha sempre avuto questo privilège di essere la terra della tragedia e della commedia, dove il dolore e l’ironia sarcastica si incarnano sia nella semplice parola detta dei cantastorie che nelle più raffinate Lettere. È la terra della tragedia greca, dove Eschilo, Sofocle, Euripide parlavano al pubblico posto nel koilon del teatro greco di Siracusa.

Roma non era ancora la caput mundi che noi conosciamo.

Questa terra è sede di miti e di retaggi culturali geograficamente appartenenti a diverse aree culturali. Crogiolo di civiltà.

È il posto privilegiato, per gli scrittori, per descrivere i mali del paese che vengono portati alla luce; per altri un luogo avvolto da un alone mitico, una realtà ancestrale fuori dal tempo che contagia e crea una rigenerazione  morale.

È a tal proposito, l’argomento trattato da Elio Vittorini in “Conversazioni in Sicilia”.

Sul tema delle contaminazioni sono state scritte innumerevoli tesi di laurea, ma adesso ritorniamo ai Nostri.

De Crescenzo nell’ultimo ventennio si era eclissato dalle scene e dai talk show, ai quali aveva spesso partecipato, soprattutto per l’interessamento di Maurizio Costanzo, che aveva lanciato il suo primo lavoro: Così parlò Bellavista.

Dopo, a causa di una malattia di declino cognitivo, la prosopagnosia non gli era concesso

di riconoscere i volti delle persone.

A volte, si presentava alle cene con un biglietto scritto esplicativo in cui si scusava di non riconoscere i presenti, anche se amici.

Inizialmente si pensava ad una delle sue spiritose “pensate” poi si capì che si trattava di un problema serio.

Sia Camilleri che De Crescenzo sono stati accolti da un notevole successo del grande pubblico nazionale e mondiale. Milioni le copie vendute. Camilleri, grazie alla trasposizione televisiva zingarettiana dei suoi romanzi, l’altro, grazie al cinema e sempre onnipresente prezzemolino alle più importanti e seguite trasmissioni dell’epoca, da Arbore a Costanzo.

A De Crescenzo non interessava tanto la politica e l’adesione ad un coerente pensiero ideologico. Si definì monarchico e di orientamento a destra ma simpatizzava per Emma Bonino e votava a sinistra.

Si definiva, ossimoricamente, ateo cristiano.

Camilleri, militante di sinistra, quasi nostalgico del comunismo storico, non ha mai lesinato energie per palesare, illo tempore, profondo odio verso Berlusconi e più recentemente per il segretario della Lega al quale disse: “Salvini col rosario? Mi dà un senso di vomito

Per un obiettivo giudizio critico, essendo, (almeno credo) in possesso del desiderio incondizionato per la verità e la conoscenza, anche quando essa non collima con la mia, è sbagliato congiungere necessariamente letteratura e ideologia. A volte è necessario porre un confine. Un punto d’arresto.

Tuttavia non ci si può esimere dal riconoscere che la sua militanza politica specie post mortem, abbia contribuito a conferirgli una esagerata apoteosi celebrativa rispetto ad un De Crescenzo che ha avuto un minore riconoscimento critico.

De Crescenzo oltre a nobilitare con sagace intelligenza il sud, aveva reso accessibile una disciplina filosofica, che ai tempi dei miei studi, e forse ancor oggi, si definisce erroneamente, la materia, con la quale e senza la quale si resta tale e quale.

Ecco, Luciano ha sdoganato questo concetto assai invalso nella cultura/sottocultura di oggi. Di chi è il merito di far conoscere ed apprezzare la filosofia antica, e non solo?

I presocratici, Socrate, lo Zarathustra di Nietzsche, il mondo classico.

A molti, i temi trattati nei testi scolastici di storia della filosofia, (mi viene in mente il mio Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scentifico) risultavano ostici, ma De Crescenzo li trasforma e li rivela nella loro semplicità spicciola. Sic et sempliciter.

Temi riscontranbili nelle nostre interrogazioni metafisiche che ci poniamo quotidianamente, e che in qualche modo ci fanno sentire un po’ tutti filosofi.

Qualcuno lo definisce un cultore di filosofia pop.

Al contrario di quanto pensano gli accademici, egli non ha adulterato, svilendo la filosofia verso il basso, ma ha semplicemente portato il lettore, inducendolo alla comprensione del testo.

De Crescenzo con il suo ministero divulgativo ha effettuato una importante operazione culturale di massa.

Camilleri, è stato uno scrittore talentuoso, creatore di un linguaggio attrattivo, un po’ posticcio, a dire il vero. Spesso artificioso nella struttura linguistica sicula, soprattutto nelle fiction di Montalbano. Un accento spinto all’eccesso, con artifizi tonali cadenzali di cui non riconosco la genuina matrice.

Tuttavia, trovo in Camilleri anche un senso di tolleranza, che manca in altri scrittori di polizieschi.

In uno degli episodi di Montalbano c’è l’amore tra uno zio e un nipote. La bigotta società circostante la considera come depravazione, ma Montalbano coglie con commozione, come vero amore. Anche De Crescenzo è campione di libri venduti  e tradotti in tutto il mondo, come lo è la serie televisiva di Montalbano.

L’agiografia post mortem di Camilleri, gli interminabili servizi del tg, e soprattutto l’azzardato confronto con Pirandello e Verga, non gli hanno reso la giusta connotazione valoriale della narrativa.

Quando muore un personaggio pubblico, anche per un semplice cittadino, si tende spesso ad esagerare nell’incensarlo, nell’esaltazione delle proprie competenze e qualità morali.

Bisogna rispettare la memoria da chi lo ha denigrato, ma anche di chi lo ha laureato un gigante della letteratura. Certo le sue trame intrigano gli spettatori tenendoli con il fiato sospeso nell’individuazione dell’assassino.

A volte istrionico vegliardo, altre volte dai toni sinistri da Cassandra siciliana. È vero. Narra in modo molto avvincente ed ingegnoso il proprio pensiero. Insomma una narrazione fantasiosa nell’intreccio immaginifico del tessuto narrativo.

Insomma, un grande affabulatore nato.

Ha sempre esibito, come è giusto che sia, l’antifascismo, anche quello fantasma, latente, post bellum.

Ieri a morte con Berlusconi, poi a morte con Salvini.

Un bond, un biglietto assicurativo per essere inserito nella agiografia dei giganti sia in vita che dopo la morte. Un eccellente scrittore giallista e poliziesco ma non un Grande della Letteratura. Semplicemente blasfemo renderlo il nuovo Pirandello o lo stesso Sciascia. Il confronto è decisamente impari.

Non mettetegli per favore, allori e incensi che non gli sono propri.

Non vorrei che i suoi fan mi insultassero istericamente dopo la lettura del mio articolo, ma di questo non mi meraviglierei. In Italia e nel mondo il dissenso viene pagato caramente. È l’anticamera dell’odio e dell’emarginazione che infiamma chi segue il dissenso rispetto al padrone di turno.

Sì, l’odio, l’abbiamo visto anche con l’attentato a Trump in Pennsylvania.

L’odio genera obnubilamento delle coscienze e appiattisce ciecamente il senso critico.

Per molti sedicenti intellettuali radical chic leggere Virgilio, Camilleri, Tolstoj o Carofiglio è la medesima cosa.

E questo significa snaturare la memoria storica di Camilleri.

Io contesto chi lo strumentalizza per fini politici. È questo che andrebbe evitato. Lo dico senza nessuna retorica né tantomeno invidia per colui che fu ed è un Maestro con la M maiuscola dell’intrattenimento. Bisogna saper distinguere l’approvazione planetaria, la standing ovation dall’universalismo letterario. Pirandello descrisse il contrasto dell’irrisolvibilità tra vita e forma. Le verità frammentate.

Quel contrasto dell’io spezzato che cerca di contrastare con l’umorismo riflessivo.

E questo lo dico per ricordare due grandi del nostro tempo. Tuttavia, per leggere i Giganti bisogna volgere lo sguardo altrove, molto altrove. Camilleri non è Pirandello, De Crescenzo non è Croce.

Altrimenti mi verrebbe da dire: beati monoculi in terra caecorum, o meglio ancora una locuzione del diritto romano,

cuique suum

(ad ognuno il suo).

Parlando con l’autorevole Dino Villatico, esperto critico letterario e musicale, ecco cosa pensa sul giudizio valoriale di uno scrittore:

“Ci sono personaggi più celebri dello scrittore che li ha inventati. Qualche volta lo scrittore è della stessa statura letteraria del personaggio: Edipo e Sofocle, Amleto e Shakespeare, Don Chisciotte e Cervantes. Cervantes, anzi, è per me il primo romanziere dell’età moderna, e anche il più grande, insuperato. Mi perdonino Flaubert, Dostoevsij, Tolstoj, Thomas Mann, Musil, Joyce e chi più ne ha ne metta. Li amo tutti. Ma Cervantes lo adoro. Chi sa  perché in fondo il suo personaggio è un po’ anche ciò che sono io. In realtà, di Cervantes adoro la lingua. Siamo nel tardo Cinquecento e nel primo Seicento, ma scrive come uno scrittore di oggi, con una naturalezza, semplicità (in realtà complicatissima) e fluidità insuperate: “In un luogo della Mancia, il cui nome non voglio ricordare, non è molto tempo che viveva un gentiluomo (hidalgo – figlio di qualcuno) di quelli con lancia nella rastrelliera, emblema antico, ronzino magro, e levriero corridore”. Il Prologo al lettore è un capolavoro di autoironia: “Sfaticato lettore, senza giuramento mi potrai credere che vorrei che questo libro, in quanto figlio dell’intendimento, fosse il più bello, il più gagliardo, e più discreto che si potesse immaginare; ma non ho potuto contraddire l’ordine della natura, nella quale ogni cosa genera un’altra a sé somigliante.

Nemneno Camilleri ha potuto infrangere l’ordine della natura. Ha inventato un personaggio certamente più famoso di lui, il commissario Montalbano, la cui fama è stata accresciuta da una riduzione televisiva distribuita in tutto il mondo e da tutto il mondo acclamata. In ciò è compagno di scrittura di altri scrittori inventori di personaggi notissimi in tutto il mondo, come lo Sherlock Holmes di Conan Doyle, il Frankestein di Mary Shelley, e il Dracula di Bram Stoker, ma né Conan Doyle, né Mary Shelley, nonostante il suo marito, che è anche un grandissimo poeta, né Bram Stoker, possono ambire al Parnaso di scrittori che consideriamo singolari, inimitabili, che so, un Goethe, un Melville. Ma non è merito da poco avere inventato personaggi che abbiano così profondamente colpito la fantasia collettiva dell’homo sapiens, oggi ristrettosi a un più banale homo insipiens, specie sembra destinata ad autoestinguersi: non servirà una cometa come accadde per i dinosauri, basterà la sua insipienza. Della quale è non piccolo segno il confondere la bravura con il genio. Camilleri è bravo, ma non è un genio. Non è Verga, non è Pirandello. Né tanto meno un De Roberto. La sua terra ha dato i natali, tra altri, a un Teocrito. 2.500 anni di poesia pastorale! I suoi Idilli, almeno in Italia, oggi non li legge più nessuno. Ma la letteratura moderna, dall’Arcadia a oggi, non può farne a meno. Ecco, sono queste le dimensioni del genio. Adeguarle al senso comune, abolire le differenze, livellare ogni cosa la suo grado più basso, sembra una caratteristica dei nostri tempi. Ma Camilleri , bravissimo inventore di intrighi, non è Verga; Agatha Christie, splendida inventrice di enigmi polizieschi, non è Joyce, anzi non è nemmeno Dickens, o per rispettare il genere al quale la natura l’ha assimilata, non è una Jane Austen, non è una Virginia Woolf”.

salvo germano

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