Carlo Maria Viganò detrattore del Papa o uno strenuo difensore della vera fede cattolica?
di Salvo Germano
Mons. Carlo Maria Viganò, ex ambasciatore della Santa Sede negli Stati Uniti, e già Governatore della Città del Vaticano, è stato scomunicato per scisma.
L’acerrimo nemico di Francesco, ha accolto quasi impavidamente la notizia, che da tempo, in tanti in Vaticano ed extra moenia si aspettavano. L’annuncio, mandandolo quasi in solluchero, gli ha fatto dichiarare, dall’eremo di Sant’Antonio di Viterbo, che per lui ricevere la scomunica è stato un “onore”.
Significativo quanto accadde nel 2018, quando pubblicò una lettera in cui chiedeva addirittura le dimissioni del Papa, accusandolo di aver coperto il card. Theodore McCarrik, reo di aver abusato di alcuni seminaristi. E ancora prima, all’epoca di Vatileaks, Viganò segnalò il card. Tarciso Bertone, allora Segretario di stato, come responsabile di omessi controlli nei confronti di tutto un sottobosco di prelati che operavono indisturbati sotto la cupola michelangiolesca.
Il Dicastero per la Dottrina della Fede ha dichiarato la scomunica latae sententiae e ora è riconosciuto colpevole di scisma. Esso è uno dei tre delitti “contra fidem” insieme ad eresia e apostasia.
Viganò ha ricevuto la scomunica comminata d’ufficio, non si è presentato in Aula col suo avvocato o con un memoriale difensivo entro la data ultima del 28 giugno.
Non è più in comunione col Vescovo di Roma e con la chiesa cattolica.
Così recita la sentenza:
“In data 4 luglio, – ricorda l’ex S. Uffizio – il Congresso del Dicastero per la Dottrina della Fede si è riunito per concludere il Processo penale extragiudiziale ex can.1720 CIC a carico di S.E.R. Mons. Carlo Maria Viganò, Arcivescovo titolare di Ulpiana, accusato del delitto riservato di scisma (cann. 751 e 1364 CIC; art. 2 SST). Sono note le sue affermazioni pubbliche dalle quali risulta il rifiuto di riconoscere e sottomettersi al Sommo Pontefice, alla comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti e alla legittimità e all’autorità magisteriale del Concilio Ecumenico Vaticano II”.
All’esito del processo penale, scrive il dicastero presieduto dal cardinale argentino Victor Manuel Fernandez, Mons. Carlo Maria Viganò è stato riconosciuto colpevole del delitto riservato di scisma. Il Dicastero ha dichiarato la scomunica latae sententiae, cioè di fatto, ex can. 1364 comma 1 del codice di diritto canonico. La rimozione della censura in questi casi è riservata alla Sede Apostolica, ovvero al Papa. Questa decisione è stata comunicata a S.E.R. Mons. Viganò in data 5 luglio”.
Cosa succede ora a Viganò?
Quali sono le conseguenze?
Allo scomunicato è proibito celebrare la messa e gli altri sacramenti; di ricevere i sacramenti; di amministrare i sacramentali e di celebrare le altre cerimonie di culto liturgico; di avere alcuna parte attiva nelle celebrazioni appena citate; di esercitare uffici o incarichi o ministeri o funzioni ecclesiastici; di porre atti di governo. Il senso della scomunica è comunque quello di essere una “pena medicinale” che invita al ravvedimento, quindi si resta sempre in attesa di un ritorno della persona alla comunione. Ma non sembra essere il caso di mons. Viganò.
L’ordine di scomunica è partito dal Papa, che per non insozzarsi personalmente le mani, ha delegato il Dicastero della Dottrina della Fede che formalmente ha comminato la pena. Il dicastero preseduto
dal card. Victor Manuel Fernandez.
Chi è costui?
Intanto un porporato ultra progressista molto chiacchierato, che anni addietro aveva scritto un libro sugli effetti mossi dall’eros del bacio, volumetto adesso introvabile, che egli stesso ha fatto ritirare, dopo lo scandalo fatto emergere dai giornalisti, e che pone l’argomento al limite della buona creanza della morale cattolica. Il libro si intitola infatti Guariscimi con la bocca: l’arte di baciare.
Qualche ben pensante lo pone al limite del pornografico.
Certo, se si pensa che il card. Fernandez siede a capo di quello che fu il posto di Ratzinger per anni, prima di diventare Pontefice, la dice lunga.
Viene quasi il sospetto che Franciscus abbia aspettato che morisse il Papa emerito per nominare un personaggio agli antipodi del suo predecessore.
Inoltre – mi chiedo – perché prima di comminare una tale pena, il Papa, non abbia intrapreso un tentativo di dialogo? Un tête-à- tête di chiarimento. Invece un gelo rancoroso tanto da alzare un muro così invalicabile tra i due da culminare nella sentenza dello scisma.
Anni addietro una simile sentenza, da far tanto scalpore colpì anche il vescovo Marcel Lefebvre. Egli però venne più volte convocato a Roma, per essere ricevuto da Paolo VI al quale spiegò alcuni punti di dissenso del Concilio, nel quale aveva partecipato a tutte le sessioni prendendo la parola.
Dopo la scomunica comminata da Giovanni Paolo II dopo un travagliato e irrisolto dialogo, Benedetto XVI successivamente la revocò, riabilitando in qualche modo la figura del vescovo, che tra l’altro, aveva nominato 5 vescovi senza l’approvazione della Sede Apostolica.
Quello sì, che fu un vero scisma che determinò la creazione di un altro gruppo ecclesiale appartenente alla Fraternita San Pio X dal nome del papa Giuseppe Sarto che con l’enciclica Pascendi dominici gregis del 1907 aveva cercato di combattere il dilagante Modernismo all’interno della chiesa. Peccato che Lefebvre non ebbe la soddisfazione di vedersela revocata da Ratzinger nel 2009 essendo egli morto nel 1991.
“Mala tempora currunt” sotto il cupolone di San Pietro tra scandali e porpore dissidenti ma anche tanti servili adulatori del Pontefice regnante, per impeto di puro carrierismo che non risparmia sia le frange più progressiste, che quelle conservatrici, proni, obtorto collo, ad uno dei Papi, o per alcuni egli antipapa, più divisivo tra quelli post conciliari.