Chef Giovanni Bruno: la stella che da 50 anni fa brillare la Sicilia in Belgio

Chef Giovanni Bruno: la stella che da 50 anni fa brillare la Sicilia in Belgio

Giovanni Bruno, Chef patron del ristorante Senza Nome a Bruxelles, quest’anno festeggia 21 anni di Stella Michelen

Nato in Sicilia si trasferisce con la famiglia in Belgio ancora adolescente, “sono un prodotto importato” dice durante l’intervista.
Alla domanda: “Sognava di fare lo chef?” Risponde di no. voleva essere un designer o un pilota automobilistico, altra sua grande passione.
“Senza Nome”, il suo ristorante nel cuore del Sablon, il centro di Bruxelles, è il 14° miglior ristorante italiano nel mondo secondo la classifica della guida 50Top Italy: “un ambasciata italiana” del gusto e dell’ospitalità.

Sono numerosi i riconoscimenti ed i successi ottenuti nel corso di questi anni da Giovanni e Nadia, sua sorella: la famiglia é un valore centrale nella vita dello chef Bruno. “Noi 5 figli lavoravamo tutti nel ristorante dei miei genitori quando negli anni ’70 aprirono a Bruxelles il primo ristorante.”
Come mai Bruxelles? chiedo. “Mio padre era un ingegnere, dirigeva le miniere di zolfo per l’Ente Minerario Siciliano. Quando le miniere iniziarono a chiudere, ci fu una riduzione del personale e a lui venne offerto un buon’uscita.
“I miei genitori con la speranza di un futuro migliore, provarono a trasferirsi a Milano. Mentre noi eravamo in collegio vicino Messina, loro facevano i pendolari tra nord e sud. Era il 1968 ed i siciliani erano spesso visti con pregiudizio, etichettati come dei “terrun”, mal visti. Mia madre trovava sacchi di spazzatura sul balcone, lasciati dai vicini per farle capire che non erano i benvenuti. E mio padre, nonostante le sue tre lauree, fatico’ a trovare un lavoro adeguato. Gli dicevano che non avevano posto per lui”
Chiedo: “Ed il Belgio? E perché un ristorante?”


“Mio padre era un’ottima forchetta! Dopo un viaggio nella capitale europea per una visita ad una zia, mia madre ebbe un’idea! aprire un ristorante qui! Certo non erano professionisti, ma ricordo mio padre svegliarsi alle 5 del mattino ed iniziare a preparare lasagne, arancini, cannoli. Per me era un vero missionario, di una grande passione ne fece una professione.” Conclude.
Una domanda imprevista mi sorge spontanea: “E’ stato difficile ambientarsi in una realtà cosi diversa dalla Sicilia?”.
“Molto difficile. Intanto per un problema climatico e poi soprattutto linguistico, noi non parlavamo francese e non tutte le scuole ci accettarono. Una volta ammessi, anche farsi accettare dai compagni fu difficile. Loro biondi e alti, noi invece, bassi dai tratti tipici mediterranei. Ci prendevano in giro tutto il giorno, ma per fortuna non capivamo niente.”
Mentre continua a raccontare la sua storia si percepisce tutta l’ammirazione verso i suoi genitori. “Mi hanno insegnato il rispetto per le persone, per il lavoro e soprattutto per la famiglia.”
“Avresti mai pensato di diventare uno chef stellato?”
“Assolutamente no! Io volevo fare il designer, amo l’arte. In alternativa avrei voluto essere un pilota automobilistico. Non avrei mai pensato di diventare chef. Vedevo il sacrificio dei miei genitori, le ore passate dentro il ristorante, lo stress. Ma studiare in Belgio non era facile, così, già a 16 anni iniziai a lavorare: prima facendo le pulizie presso una fabbrica, poi come lavapiatti in una Brasserie belga ed infine in cucina. Ho preso in gestione il ristorante dei miei genitori a 22 anni.”
“Qual è stato il momento in cui hai capito che volevi continuare a fare questa professione?”
“Alla fine degli anni ‘70 avevo un locale in cui facevo pizze. Una sera vengono a cena da me sei chef, alcuni di questi francesi. Mi chiesero di preparare dei piatti della vera cucina Italiana. All’epoca i ristoranti italiani avevano riadattato le ricette tradizionali al gusto del posto: era accaduto in Belgio, in Germania, perfino negli Stati Uniti.
Alla fine della cena mi chiamarono e mi dissero in modo serio: Giovanni nel tuo ristorante devi fare questo, devi fare scoprire i veri sapori della tua tradizione. In quel momento ho capito che questo era quello che volevo fare.”
“Dalla cucina tradizionale a quella moderna quindi”
“Si sono partito dalla tradizione. Ho studiato tanto sui libri. Ma il mio mito era Gualtiero
Marchesi, mi sono ispirato tanto a lui. Un grande innovatore. Il maestro della nouvelle cuisine italiana. Ha fatto tanto.”
“Quale aspetto ritieni piu importante quando crei un piatto?”
“Il gusto sicuramente, quello che si mangia dev’essere buono. Mi impegno per riuscire a trasmettere un’emozione. Quando sento i clienti dire: “Wow!” sono riuscito nel mio scopo.”
“Quanto spazio dedichi ai prodotti italiani all’interno dei tuoi menu?”
“Moltissimo, l’Italia è un vero e proprio scrigno di eccellenze. Il mio menu è un omaggio all’Italia. Sono sempre di più gli chef di tutte le nazioni che utilizzano i nostri prodotti per dare un tocco di raffinatezza alle loro creazioni.”
“Molti chef all’estero dicono che abbiamo ingredienti di alta qualità ma che non sappiamo usarli, tu cosa ne pensi?”
“Credo che in parte abbiano ragione. Manchiamo un po’ di tecnica. Ai giovani cuochi consiglio di viaggiare tanto. Di scoprire i segreti e le astuzie di più culture possibili ”
“Come vedi l’Italia da fuori?”
“Un paese bellissimo con tante opportunità di crescita ma gestito male. Quando scendo in Sicilia vedo tanta rassegnazione, poca voglia di cambiare le cose. Gestita da politici che molto spesso si rivelano non all’altezza. Le autostrade ed in servizi sono quasi inesistenti. Abbiamo spiagge bellissime che potrebbero essere una risorsa economica incredibile ma non siamo capaci di sfruttarle nel modo adeguato. Non capisco perché tutta quest’ostilità nei confronti del ponte sullo stretto. Oltre a ridurre l’inquinamento aiuterebbe il turismo, i trasporti ed il commercio”.
“Il turismo è cresciuto molto negli ultimi anni”
“Si, è cresciuto molto. Malgrado alcune zone siano sovraffollate, mentre altre sono poco sfruttate e quasi abbandonate.Credo, inoltre, che bisognerebbe puntare ad un turismo più sostenibile e meno low-cost. Rispettare il turista, costruire infrastrutture più adeguate”.
“Anche il settore enogastronomico è cresciuto molto”.
“Assolutamente, dalla raffinatezza dell’olio d’oliva al crescente pregio acquisito in questi anni dal nostro vino. Sempre piu richiesto anche dai palati piu esperti. Oggi tutti i “big” del vino vorrebbero investire sull’Etna; abbiamo un terroir unico.”
“Mantieni un legame con la Sicilia?”


“Si ci vado spesso. Ho una casa di famiglia in collina a cui sono molto affezionato. Li il silenzio diventa quasi un rumore. Un luogo di pace dove posso riflettere, riposare, ricentrarmi.”
“Pensi un giorno di ritornare nella tua terra d’origine?”.
“Spero di si, mi manca. Abbiamo il paese più bello del mondo, da ogni dove arrivano per visitare il nostro patrimonio artistico, culturale, enogastronomico. Spero che riusciremo a proteggerlo.”
“A cosa ti riferisci?”
“Temo che stiamo via via rinunciando alle nostre tradizioni, dimenticando le nostre origini. Penso che il tema dell’immigrazione e dell’inclusione non vada assolutamente sottovalutato.
Va bene accogliere ma nel rispetto della legge”.
“Si parla tanto dell’impatto che il cambiamento climatico sta avendo nell’intero settore enograstronomico”.


“L’adozione di scelte sostenibili da parte dei professionisti che operano nel settore è fondamentale. La riduzione degli sprechi e dei rifiuti, la scelta di prodotti stagionali. Lavorare con aziende che sostengono la pratica di comportamenti etici all’interno dei loro processi produttivi. Anche il comportamento dell’utente finale ha una peso.”
“Ho un’ultima domanda: cosa dicono i tuoi clienti dopo aver mangiato da te?”
“Chef non vedo l’ora di andare in Sicilia!”
La storia dei Bruno è un frammento di quella grande narrazione che ha visto tanti siciliani lasciare la propria terra. Il fenomeno dell’emigrazione verso paesi più ricchi ha toccato e lasciato un segno nelle pagine dei libri della nostra storia. Grazie alla loro perseveranza e determinazione sono autori di un racconto a lieto fine.
Dalla loro avventura iniziale negli anni ’90 con il ristorante Senza Nome, Giovanni e Nadia hanno ampliato con successo la loro attività. Oggi la loro passione e dedizione li hanno portati ad aprire anche Fico, gestito da Nadia, e Miss Rose.

Valentina Laudonia

Valentina Laudonia

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